La guerra dei Wits

Nel 2017 Il sindaco di Bologna Virginio Merola ha insignito l’autore, Pier Paolo Galiani, della Medaglia al Merito Civico “Giorgio Guazzaloca” in qualità di coordinatore del gruppo -No Tag Porto Saragozza- per il loro impegno nel contrasto al vandalismo grafico, che oltre al lavoro diretto di pulizia sul territorio, si articola in divulgazione tra gli studenti con progetti di Alternanza Scuola Lavoro, supporto ai cittadini, e intelligence per l’individuazione dei responsabili.

La narrazione di quattro anni di lotta al degrado, ma soprattutto di lotta contro la burocrazia, l’indifferenza, ma anche la rassegnazione dei concittadini poteva essere un noiosissimo resoconto che nessuno avrebbe mai letto oltre le prime tre pagine.

Invece, alla domanda che scaturisce dirompente troppo spesso tra i volontari: “chi ce lo fa fare?” l’autore trova modo di rispondere in modo inconsueto, ironico, fantasioso ma non troppo, poiché si ispira a fatti e situazioni realmente accadute.

Risponde con un breve romanzo quasi di fantascienza che tenta anche di analizzare le motivazioni psicologiche che spingono comuni cittadini a impegnarsi nella lotta al degrado urbano.

Strani esseri, ritenuti non umani, vagano nella notte per la città lasciando inquietanti tracce del loro passaggio. I cittadini accusano inspiegabili malesseri, che il protagonista collega alle oscure tracce lasciate dalle sconosciute entità notturne.

Con alcuni vicini di casa decide di investigare e contrastare l’invasione di questi “alieni”

Presto questa lotta diviene una paradossale “guerra” senza caduti, ma non priva di battaglie accanite, alleanze e strategie, vittorie e sconfitte di una guerra che probabilmente non avrà mai fine.

La pubblicazione in calce al romanzo degli atti ufficiali di quattro anni di Patti di Collaborazione per la lotta al vandalismo grafico siglati dall’autore con il Comune di Bologna, costituisce una importante testimonianza dell’utilizzo di questa innovativa forma di collaborazione tra Istituzioni e cittadini.

Un estratto

Nessuno sa quando sia cominciata, né come. Prima, per lunghi anni, mi ero sentito solo. Un’isolata sentinella arroccata in una ridotta in pieno territorio nemico, un pioniere assediato dai pellerossa, lo hobbit circondato dagli orchi.

Erano stati lunghi anni di cocenti delusioni, di preoccupazione per la mia salute, di disperazione e sconforto. Tutte le mattine, uscendo di casa per recarmi al lavoro, mi guardavo intorno con timore; timore di vedere che, nella notte, erano stati lì, nel mio quartiere, nella mia strada. Paura di scoprire che avevano sfiorato il mio portone, origliato dentro le mie finestre. Non ci si poteva sbagliare: se erano venuti, avevano lasciato le loro schifose tracce. Tutta la città era segnata dal loro andirivieni, dalle loro immonde bave colorate. Se erano passati, lo si poteva certamente dedurre dai muri, dai pali, dai cartelli, dalle panchine, dalle vetrate delle case, dalle serrande dei negozi… Sì, le serrande, perché ora molti negozi, la notte, preferiscono chiudere. Hanno paura. Hanno paura, e invece di lasciare le luci accese dentro, le vetrine illuminate e la merce in bella mostra per scatenare desideri di quelli che vanno a passeggio la sera, o la notte, chiudono tutto. Si proteggono il meglio possibile dietro a pesanti cortine di metallo, che malgrado siano costruite sempre più robuste, sempre più spesse, quasi tutte recano i segni delle offese dei Wits.

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L’allarme arrivò una mattina presto. Le sentinelle che abbiamo sguinzagliato in tutto il territorio che vorremmo definire “sicuro” facevano il loro dovere: prima uno, poi due, poi tanti… eravamo sotto attacco, un attacco in forze e proprio al cuore del nostro territorio, il mio primitivo fortino. Almeno 34 Wits avevano scorrazzato per il quartiere quella notte, e i loro immondi essudati erano lì, a testimoniarlo con il loro stillicidio. 

Eppure solo il giorno prima, in perfetta tranquillità, avevamo consolidato il fronte nord, addestrando volontari delle scuole. Gli elogi di tanti cittadini entusiasmavano i Cadetti che già sognavano momenti di gloria, di marce vittoriose col sole in viso e il vento tra i capelli. Una città decente dove vivere, un futuro di nuove sfide, a volte ben più serie, da affrontare.

Da vecchio veterano avevo notato qualche segnale, inteso qualche frase disfattista di passanti, ma non avevo attribuito il giusto peso a quegl’indizi che invece avrei dovuto tenere in grande considerazione. Un grave, imperdonabile errore.

Mentre l’allarme dava i suoi frutti e numerosi volontari provvedevano a disinfestare il quartiere, noi dello Stato Maggiore cercavamo ancora una volta di capire se fosse possibile catturarne almeno uno. Alcune delle numerose telecamere presenti riportavano immagini sospette, nelle quali però, i Wits appaiono tutti con banali sembianze umane, sovente giovanili ma non sempre, quasi fossero nostri figli e nipoti, ma anche i nostri vicini, amici, conoscenti.

«La capacità dei Wits di camuffarsi da umani è inquietante e spaventosa…» commentava pensoso il Capo delle Operazioni mentre ci mostrava i filmati.

Io guardavo le immagini sfilare in silenzio; la video sorveglianza segnava ore impossibili per quelle figure che sembravano poco più che adolescenti aggirarsi sperduti e soli, soli come un lombrico con problemi di alitosi. Non si tratta di alieni, sono umani, i nostri giovani, i nostri figli, i nostri nipoti. Dove abbiamo sbagliato? Qualcuno di noi si è almeno accorto di avere sbagliato qualcosa? Venti passi e tac! Con gesto rapido (meno di dieci secondi a quanto scandisce l’occhio elettronico) traccia colanti bave di vernice sul portico. Altri venti passi e altra manovra. Sempre quella, sfibrante; un mantra assurdo e inspiegabile se non forse come un urlo di disperazione, una richiesta di aiuto, o una spaventosa devastante imbecillità. Non ha famiglia quel ragazzino in giro da solo alle 4 del mattino? Non ha lavoro quel tizio che alla medesima ora si aggira a manifestare il proprio rancore (o la propria abissale ignoranza) imbrattando vestigia di un passato del quale tutti dovremmo avere rispetto e orgoglio? A volte agiscono anche in gruppo, due o tre al massimo, facendosi forza a vicenda e trovando coraggio ed energie in alcol a basso prezzo e fumo cattivo, di quello che ottenebra la mente. Altre volte agiscono in modo strano: dopo aver sbavato il loro ghirigoro lasciano qualcosa che sembra un bigliettino incastrato in una fessura. Trascorre meno di un minuto e un altro Wit, sempre camuffato, sempre irriconoscibile, entra nel campo della videosorveglianza e lo preleva. Un messaggio? Un passaggio da Wit a Wit di qualcosa che non riescono o non possono scambiarsi direttamente? Non ne ho la più pallida idea. Se fossero umani avrei qualche ipotesi in merito, ma sono esseri di un altro mondo, come posso fare ipotesi credibili sul loro comportamento? Io, nel mio intimo, credo ancora che si tratti di razza aliena, voglio ancora credere che non siano esseri umani. Non potrei sopportare di scoprire che sono miei simili.