
Nina è una giovane donna che, nel tentativo di sfuggire ai propri demoni interiori, decide di allontanarsi dal paesino siculo in cui ha apaticamente vissuto sin dall’infanzia. Grazie all’amicizia instaurata con Diego, un coetaneo segnato da un passato infelice, scopre una realtà differente da quella riscontrata in precedenza, che la spinge a trovare il coraggio di far sentire la propria voce nella lotta contro le discriminazioni sessuali e condividere, insieme alla famiglia, un peso troppo pesante da sorreggere: la propria omosessualità.
La nuova vita della giovane, divisa tra il lavoro ai tavoli di un ristorante giapponese e le sedute di psicoterapia, viene stravolta dall’amore travagliato per la coetanea Adele, disinibita e sfuggente, e dall’incontro con Giacomo, un uomo con forti difficoltà relazionali conosciuto in sala d’attesa, che la mette al corrente del suo inquietante progetto: recarsi in Giappone, ad Aokigahara, nei meandri dell’inquietante Foresta dei suicidi.
Nonostante le difficoltà iniziali e i continui diverbi causati da punti di vista del tutto differenti, Nina riesce a instaurare un rapporto confidenziale con l’uomo, il quale, grazie alla fiduciosa insistenza della sua nuova amica, comincia a considerare la possibilità di vedere la propria vita con occhi nuovi, fino a decidere di concedersi un’ultima opportunità.
Le ingarbugliate vicende dei personaggi si intrecciano nel cuore pulsante della capitale romana; sfondo di tormenti, confessioni, solitudini e soluzioni apparentemente introvabili.
Non dirò altro per evitare vari spoiler che magari alcuni di voi non l’hanno letto questo libro, ma vi assicuro che vale la pena leggerlo anche per sconfiggere i vari pregiudizi che si hanno (se li avete) nei confronti di chi tende ad amare qualcuno del proprio sesso.
Io amo i libri e le serie tv
Il libro è scritto in modo scorrevole dall’estate 2015 all’inizio dell’estate 2016; con una grande trasposizione di sentimenti e di passione nata nel cuore della scrittrice e trasposta nelle pagine del libro.
Libri – IcrewPlay
Un libro molto semplice, che tratta una tematica delicata e molto attuale; raccontato in prima persona dalla voce sincera di Nina, che rende tutto molto reale, permettendo al lettore di emozionarsi insieme ai protagonisti pagina dopo pagina.
Il mio mondo di libri
Si tratta di una scrittura davvero scorrevole e coinvolgente che, personalmente, mi ha ricordato il flusso di coscienza e, a tratti, il diario. Il ritmo è buono e, contrariamente al mio solito, ho trovato adatta la narrazione in prima persona perché, anche se percepiamo tutto solo attraverso lo sguardo di Nina, abbiamo comunque un discreto quadro generale della vicenda.
Tiny fox in the box
Un estratto
«Francesca, tu credi che l’infelicità sia incurabile?»
«No, affatto. Penso che l’infelicità tenda a manifestarsi con maggiore forza quando reprimiamo la nostra reale essenza, rinunciando a mettere in atto ciò che amiamo fare più di ogni altra cosa al mondo. Ma a cosa giova mascherare il nostro vero essere? Immagina di essere un albero di castagno. Se ti metti in testa di impersonare il ruolo della quercia, come pretendi di poter vivere in pace con te stesso? Indossare quotidianamente una maschera un giorno comincerà a pesare, te lo posso garantire.»
«Basta essere se stessi per raggiungere la felicità, quindi?»
«No, non basta, ma è comunque un inizio. Spesso la respingiamo con le nostre stesse braccia senza nemmeno accorgercene, perché non siamo in grado di adottare un atteggiamento rilassato nei confronti di ciò che finisce, dimenticando che ogni cosa, anche la vita stessa, è un ciclo destinato a terminare, prima o poi. A livello inconscio, rifiutiamo tutto quello che ci mette di fronte alle emozioni negative, desiderando un paravento che ci protegga da quegli spifferi così gelidi.
Facciamo del nostro meglio per sfuggire a Saturno, il pianeta della malinconia, senza renderci conto che anche lui vorrebbe agire in nostro aiuto se solo glielo permettessimo. Ma noi siamo precipitosi, desideriamo eliminare l’attesa, come se fosse solo un ostacolo di cui sbarazzarsi al più presto. E se invece quell’attesa che tanto odiamo e temiamo fosse la strada migliore da percorrere per arrivare preparati verso i nostri obiettivi? Ci ostiniamo a contrapporre tristezza e felicità quando, in realtà, non sono altro che elementi complementari. Giocano ad alternarsi, proprio come il sole e la luna: l’uno concede la scena all’altro solo quando ha finito di svolgere il proprio lavoro.»
«Dunque per godere della felicità bisogna scendere a patti con il dolore anziché sfuggirgli, giusto?»
«Ogni cosa a suo tempo, Nina. Permettimi di ripetermi: è l’impazienza che impedisce la guarigione.
Pensa al giorno che segue un avvenimento traumatico, uno di quelli a cui non si arriva mai abbastanza preparati. Che si tratti di un fallimento, di un lutto o di una separazione, ciò con cui ti ritrovi a fare i conti sin da subito è una ferita insanabile. Hai come la sensazione che non ne uscirai mai, che quell’evento ti lascerà a pezzi per sempre. E per un bel po’ ci rimani davvero, a pezzi.
La tua quotidianità è stata sconvolta da una situazione che credevi distante anni luce, e invece è lì che ti sta sul collo come una sanguisuga pronta a prosciugarti del tutto. A quel punto, ti poni la classica domanda che ogni essere umano è solito rivolgersi nei momenti di sconforto: Perché proprio a me?
Come se chiunque ci fosse passato prima avesse fatto un patto col dolore da cui è uscito vincitore, mentre tu rimani lì, a subirlo inerme, incapace di racimolare le forze necessarie per tentare di sconfiggerlo. Ti chiedi come sia possibile reagire a quel tipo di batoste che ti piombano addosso, lasciandoti quasi del tutto spiaccicato a terra, come se un elefante indiano si fosse divertito a calpestare il tuo corpo per puro sfizio. Persino le azioni che, di norma, svolgi senza fare sforzi come mangiare, portare fuori il cane, fare la spesa, cominciano a sembrare le sette fatiche di Ercole. Vorresti solo intrufolarti nel letto per tutto il giorno e spegnere il mondo.
Te ne stai lì, a vegetare col piumone tatuato addosso, come se fosse sufficiente a proteggerti dal dolore, a riscaldare quei pensieri tanto cinici e freddi, oltre che il corpo.
Entri in una fase di totale apatia: tutto quello che riusciva a strapparti un sorriso, adesso non ti scatena altro che una glaciale indifferenza.
Non vedi più motivi per gioire, intorno a te. E questo ti pesa, lo so, perché tu, un tempo, eri quel tipo di persona a cui bastava intravedere il mare dal finestrino semiaperto dell’auto per sentire l’odore della felicità.
Cominci a odiare con prepotenza tutti coloro che tentano di spronarti, di trascinarti verso l’esterno; arrivi addirittura a pensare che siano indiscreti, che non stiano rispettando la tua richiesta di poter sprofondare in pace nell’abisso. Perché, è inutile negarlo, nei momenti bui non sei capace di afferrare quella mano pronta a salvarti da eventuali scivoloni che potrebbero rivelarsi letali.
Preferisci rintanarti entro le mura della tua stanza, perché solo loro sono a conoscenza di quei pianti fatti di nascosto e, a differenza degli esseri umani, non rivolgeranno domande poco delicate.
Voglio dirti che quei giorni passeranno, credimi. Forse avrai bisogno di tempistiche più lunghe rispetto a quell’amico volenteroso che è riuscito a superare il tuo stesso trauma entro uno, due, tre mesi. Va bene così, non siamo mica fatti con lo stampino! Concediti il tempo necessario per elaborare il tutto.
Non sentirti in colpa se quella frazione di tempo non sarà sufficiente e te ne occorrerà dell’altro. Prenditelo. Afferralo. Traine giovamento.
Ma non mettere fretta alla tua guarigione; sarebbe inutile.
Magari dovrai aspettare un bel po’, sarai tentata di arrenderti, perché quella maledetta vocina dentro di te continua a sussurrare, con crudeltà, che non sarai mai in grado di rialzarti. Ignorala: vuole solo scoraggiarti. Grida, se necessario, affinché tu possa sovrastarla con la tua forza e non sentirne più il richiamo. Ti assicuro che gran parte di quel dolore andrà via, almeno quanto basta da permetterti di uscire da quel dannato piumone che inizia a soffocarti e di riprendere in mano la tua vita.
Non commettere l’errore di sottrarti a lui, o non farai altro che donargli ancora più potere, aiutandolo a risucchiare ogni spiraglio di energia rimasta. Solo quando lo accetterai davvero, sarai in grado di espellerlo, ricordalo.
Immagina di prendere parte a un matrimonio di interesse: non è ciò che desideri per il futuro, ma la sua comparsa porterà nella tua vita benefici non indifferenti, di cui potrai godere una volta interrotta la relazione indesiderata. Permettigli di tirare fuori il peggio di te, accoglilo come se fosse un professionista da cui trarre insegnamento, e non dimenticare di appuntare tutte le mosse apprese da quella lezione. Sottolineale, rileggile fino allo sfinimento e mettile in atto. Infine ringrazialo e, accompagnandolo alla porta, scrivigli un biglietto d’addio:
“Ho imparato, grazie, speriamo di non ribeccarci in giro.”»