L’ultimo sorriso

Un po’ per curiosità, un po’ per sfida con me stesso. È per questi motivi che ho iniziato a scrivere. Poi ci ho preso gusto.

“L’ultimo sorriso” è nato così. Sì, perché appena ho deciso di mettermi alla prova con la scrittura, è quella la storia che mi ha sfiorato la mente. Inizialmente si è trattato di poche pagine buttate giù la sera, sdraiato a letto, in attesa di addormentarmi, parole digitate sul cellulare che cominciavano a formare righe, paragrafi, dialoghi.

Il romanzo, com’è ovvio, è passato poi per infinite riscritture, revisioni, rimaneggiamenti, stravolgimenti. Ma fin dall’inizio, fin da quelle serate trascorse con l’iPhone in mano e il cervello che macinava parole e frasi, la mia storia era quella. La storia di Alessandro, un giovane barese, venditore di vacanze porta a porta un po’ inconcludente, la cui vita viene stravolta dalla notizia che la sua migliore amica, Alina, si è suicidata. Cercando di capire, iniziando ad indagare, immergendosi nel lato oscuro della sua amata squadra di calcio – il Bari, manco a dirlo! -, Alessandro diventa adulto, consapevole, capace finalmente di prendere decisioni, di rischiare in prima persona pur di arrivare alla verità.

E con lui, forse, sono diventato un po’ più adulto anche io. O forse no? Una cosa, comunque, l’ho scoperta: mi piace scrivere, mi piace tantissimo; e non smetterò molto presto!

Un estratto

Non mi ero mai chiesto che odore avesse la morte. Ora lo so: profuma di “Green flowers”, la fragranza che avevo regalato ad Halina per il suo ventinovesimo compleanno, meno di due mesi fa.

L’avevo scelto senza nemmeno annusarlo prima, mi era bastata la descrizione: “Memoria olfattiva di una passeggiata su un tappeto d’erba appena pettinato, del sentore di alberi di agrumi e bla bla bla…”.

L’avevo scelto già dopo aver letto del tappeto d’erba, perché mi aveva portato alla mente la nostra abitudine nei mesi primaverili di farci lunghe chiacchierate al parco Due Giugno, distesi sull’erba e coccolati dai primi raggi caldi che arrossivano i nostri zigomi proprio come il nostro primo, non proprio eccitante, incontro.

In effetti, Halina era entrata a far parte di diritto della mia più importante collezione: quella delle porte chiuse. Ne conosco di tutti i tipi: blindate, di ferro, di legno, a doppia mandata, laccate, vecchie, colorate. Data la conoscenza, ho addirittura pensato di entrare nel settore dei serramenti, forse avrei più successo.

Avevo preso appuntamento con una famiglia al secondo piano di un vecchio palazzo di via Garruba 56 e, come mi avevano insegnato durante la formazione, avevo indossato un vestito blu abbastanza striminzito attorno alle spalle larghe e magre e una camicia candida come il corallo maldiviano, che speravo di usare per convincere i miei clienti. Si erano mostrati anche interessati, ma ancora una volta non ero riuscito ad abbattere l’ultimo muro: quello della diffidenza.

Pensateci su: quante volte parliamo di una società senza valori? Quante volte sentiamo di omicidi, liti, soprusi, malavita, truffe? E qual è la conseguenza diretta di tutto questo, se non la diffidenza? Abbiamo talmente paura di vivere che ci limitiamo a sopravvivere. Io, però, conservo ancora la speranza, il piacere di condividere, il calore di un abbraccio, la voglia

di affidarmi e, se state leggendo queste righe senza annoiarvi, anche voi. Coltivatele con la stessa passione di quei nonni dalle mani spaccate e la fronte bruciata dal sole.